Giuseppe Pollicelli
2010-10-11 15:19:05 UTC
Ho da poco recuperato il brillante saggio di Tommaso Labranca
“Chaltron Hescon. Fenomenologia del cialtronismo contemporaneo”,
uscito nel 1998 presso Einaudi, al cui interno è contenuta la geniale
disamina di “Prospettiva Nevskij” che svela il carattere "cialtronico"
del brano di Battiato. Brano che, beninteso, rimane un capolavoro.
Giuseppe
“Prospettiva Nevskij” o del cialtronismo di Franco Battiato
di Tommaso Labranca
Muoversi per il mondo provoca il cialtronismo? Anche il non viaggiare
lo causa. Danni cialtroni possono essere compiuti anche stando a casa,
viaggiando con la mente lungo i percorsi obbligati costruiti su
iperconvinzioni culturali. Una volta lo ha fatto anche Franco
Battiato.
Franco Battiato non è un potente-calamita. Spesso, anzi quasi sempre,
e stato un anticialtrone che ha composto brani-collage lunghi e
affascinanti come “Goûtez et comparez”, costruiti accostando elementi
diversi. C'era la sigla della radio rumena e la lettura delle
quotazioni dei pomodori, c'erano le note dell’organo della cattedrale
di Monreale e i sussurri di imprecisati fornicatori. Nell’orecchio
destro di Battiato entravano le idee-cuneo di ascolti che, nuotando
nel liquor cerebralis secreto da una vite delle iperconvinzioni ben
temperata, uscivano dall’orecchio sinistro sotto forma di suoni-
concetto. Questi suoni-concetto erano presi e riportati così
com’erano, uno dopo l’altro, e il risultato, che puntava al richiamo
di atmosfere e di luoghi, era davvero favoloso, come sempre quando si
lavora sugli elementi senza spiegarne i meccanismi di acquisizione.
Come non lo è mai quando, per esubero d'intellettualismo, l’elemento
che crea l’atmosfera non è riportato direttamente ma viene smontato,
scardinato, addirittura commentato.
Allora l'atmosfera muore, il lavoro diventa inutile, il prodotto
diventa cialtronico.
Inoltre la situazione peggiora quando un ambiente viene descritto con
limitata cognizione di causa. La citazione di un elemento estraneo al
mondo di un autore, la sua non-specializzazione, fanno in modo che,
quando lo si vuole descrivere, si scelgano i concetti-base più
deleteri. Franco Battiato è al tempo stesso cialtrone e non-cialtrone
e forse è in questo la sua grandezza.
Battiato non-cialtrone:
- Quello che ci parla di deserto, di sufi e che si reca tra i beduini
“per fermare la latinizzazione della lingua araba”.
- Quello che ha scritto il più bel verso mai composto sul modo in cui
la cacofonia della guerra voluta da pochi irrompa indesiderata nella
pace quotidiana di tanti: “Strano come i rombo degli aerei da caccia
un tempo / stonasse con il ritmo delle piante al sole sui balconi”.
- Quello che si fa scrivere i testi da Manlio Sgalambro.
Battiato cialtrone:
- Quello che compone opere seguendo troppo da vicino il modello di
Philip Glass.
- Quello che ha scritto “Alexanderplatz” (auf Wiederseeeehn…) con il
suo carico di soffitte berlinesi, freddi berlinesi, teatri berlinesi,
prostitute berlinesi che si chiamano invariabilmente Marlene (ma sui
marciapiedi locali è garantita la presenza di molte Ulla) e che
costituisce una sorta di Salone Internazionale dell’Intellettuale
Malaticcio e Perseguitato a Berlino Est. (Quando C’Era Berlino Est).
- Quello che ha composto “Prospettiva Nevskij”. Ma qui è di rigore un
approfondimento.
Durante la stesura di questo pezzo, Franco Battiato si è lasciato
sottomettere al magnetismo di certe idee-forti che raccontano della
Russia favolosa d’inizio secolo. Allora, sotto l’effetto di una vite
delle iperconvinzioni starata per l’entusiasmo, Battiato è diventato
come quei registi americani che facevano vestire tutti i tassisti
parigini dei loro film con basco e maglietta a strisce orizzontali e
tutti i gondolieri veneziani con paglietta e maglietta a strisce
orizzontali.
Il titolo già dovrebbe metterci in allarme: “Prospettiva Nevskij”. La
prima parte del nome, “prospettiva”, è solo la traduzione facilona,
però diffusa, del vocabolo russo che significa “corso”. Quasi una
traslitterazione, ma che Battiato trova necessaria. Se avesse
intitolato “Corso Nevskij” un brano che vuole russeggiare, avrebbe
ottenuto un risultato un po' riduttivo, addomesticante,
provincializzante. Avrebbe riprodotto il gusto dello struscio
domenicale e non quello di un viaggio esotico tra storia e cultura.
Superato il titolo, tuffiamoci nel primo verso che recita “Un vento
30° sotto zero”. La Prospettiva Nevskij è a San Pietroburgo. Dicono
gli atlanti che questa nobile città, benché si trovi piu a nord di
Mosca, presenta un clima meno rigido di quello della capitale a anche
il freddo più canino di gennaio conosce medie di soli -7° C.
Naturalmente, la drammaticità della composizione non avrebbe permesso
una strofa così composta: “Un vento a sette gradi sotto zero…”.
Provate a cantarla. Sentirete che non c’è pathos e basta una
sciarpetta per distruggere sul nascere lo stereotipo del freddo
siberiano cui Battiato intende riferirsi, impegnandosi anch’egli a
tracciare, con la massima precisione e un pezzetto di lingua che
spunta dall’angolo della bocca, il disegno di un cosacco riportato sul
suo album “Roselline”. Un cosacco facilitato nei contorni, di quelli
da avanspettacolo che ballavano le danze tipiche non accovacciati ma
“seduti su uno sgabello” (citazione da “Paperino e la casacca
cosacca”). Lo stesso copiato dagli autori dei versi cantati da Adriano
Celentano parecchi lustri or sono: “Mi sembri la figlia / di un capo
cosacco / con quegli stivali / e quel nero colbacco”.
Definiamola una licenza poetica: poiché un vento a soli sette gradi
sotto zero non avrebbe reso possibile la scrittura di un verso
successivo, quello in cui il vento “a tratti, come raffiche di mitra,
disintegrava i cumuli di neve”. A trenta gradi sotto zero i cumuli di
neve sono ormai piccoli ghiacciai compatti che nessun vento può
disintegrare; ma non è solo questo che colpisce. È che il cosacco di
“Roselline” ha in testa un colbacco di pelo e allora in Russia deve
necessariamente fare freddo. Dicono ancora gli atlanti che d’estate
Mosca tocca medie di 17° C, San Pietroburgo di 16° C. Sul Mar Nero,
dove andavano in vacanza i membri dell’Apparat, a luglio si toccano
addirittura i 25° C. Nessun cialtrone riesce però a cantare la Russia
come fosse Portofino. Purtroppo il cialtrone non ama le contaminazioni
intelligenti fatte con spirito (torniamo a Elio e le Storie Tese),
così non comporrà mai un motivetto balneare d’ispirazione russa (I’ve
found my love in Sevastopol’) e pretende invece l’ordine e la
disciplina delle tabelle: trovate il motivo romantico nella casella
all’incrocio tra la colonna Estate e la riga località marina.
Ancora una volta l’ordine come risultato del teratomorfismo mentale.
Lo stesso procedimento tabellare è seguito da Franco Battiato, il
quale non vuole rinunciare a un po' di imprecisione geografica. Dove
siamo? Improvvisamente “le piazze vuote e i campanili” che credevamo
parti urbanistiche di San Pietroburgo diventano in una strofa
successiva scenari siberiani non meglio precisati e vediamo “intorno i
fuochi delle Guardie Rosse accesi per scacciare i lupi e vecchie coi
rosari”. Tipico della scrittura cialtronica è questo iperspaziare in
tutti i sacrari della banalità geofolcloristica. Le Guardie Rosse
dunque non possono mancare e nemmeno i lupi, che vivono un po'
dappertutto in Europa centrale, in America, in Asia, ma che diventano
quasi un'esclusiva di questo delizioso quadretto da Beriozka perché
così vuole la saggezza dei popoli: quando ci sono trenta gradi sotto
zero non si può certo dire che faccia bel tempo e quando il tempo è
brutto si dice che c’è fuori un tempo da lupi ed ecco che a trenta
gradi sotto zero appaiono i lupi. Su tutta questa meraviglia vegliano
le vecchie con i rosari. Sono sempre le solite vecchie, avranno almeno
235 anni. Sono sopravvissute alle temperature polari, al lupi, alla
Rivoluzione d’ottobre e sono ancora lì coi rosari in mano, gli sciali
sulla testa, i rubli in tasca, le icone alle pareti, i ritratti dello
zar, i samovar e tutta quell'altra paccottiglia eurorientale che
alcuni polacchi vendono un po' ovunque in provincia di Milano, in
mercatini improvvisati.
Intanto, cacciati i lupi e sistemate le vecchie, cosa resta da fare a
Battiato? Poco. Se ne sta con altri “seduti sui gradini di una chiesa”
ad aspettare che escano le donne. Tutto il mondo è paese: credevamo di
essere in Russia e invece siamo nella piazza principale di Ramacca
(CT, 9324 ab., 270 m slm). Evidentemente la canzone è stata scritta da
Franco Battiato in uno di quei pomeriggi di calura e mollezze sicule
che non sto a descrivere perché, non avendoli vissuti, rischierei di
fare le sue stesse figuracce, ma per i quali rimando ad alcune scene
di film-commedia ambientati nell’isola. Però una cosa è il clima
siculo, altra cosa la rigidità sovietica descritta dallo stesso
Battiato all’inizio della canzone. Sui gradini della chiesa, a trenta
gradi sotto zero, ci saranno dei ghiaccioli…
Questo è però solo un attimo di smarrimento geografico, subito ci si
riprende al verso successivo, quando “guardavamo con le facce assenti
la grazia innaturale di Nijinski”.
Riassumo la scena epocale: vento a trenta gradi sotto zero che
disintegra i cumuli di neve. Nonostante ciò, le Guardie Rosse cercano
di accendere i fuochi. Chi fuma sa quanto sia difficile tenere acceso
anche un Bic in una giornata di brezza ma le Guardie Rosse
accovacciate continuano a sfregare i legnetti e intanto tengono
lontani i lupi, scalciando, che a vederli pare stiano ballando proprio
come fanno i cosacchi. Intorno ci sono le vecchie con i rosari, mentre
un'orda di donne esce dalla chiesa spettegolando in russo medievale
stretto. In mezzo a questa situazione da incubo, sotto gli occhi di
alcuni impassibili picciotti della steppa ormai congelati, c’e
Nijinskij, naturalmente in calzamaglia, che non bada al gelo, ai lupi,
alle vecchie e balla con grazia innaturale.
“E poi di lui s’innamorò perdutamente il suo impresario e dei Balletti
russi”. Al di là dell’incomprensibilità sintattica di questa frase, è
scioccante il modo in cui, con una trasposizione spazio-temporale che
ha del miracoloso, Battiato interrompe la descrizione meteorologico-
religiosa per farci una lezioncina culturale che se da una parte
affonda che se da una parte affonda nel più becero nozionismo liceale,
dall’altra sprofonda nel pettegolezzo più indegno, poiché le donne
uscendo dalla chiesa stanno proprio servando sulla tresca tra il losco
Diaghilev e il povero Nijinskij, sottile, pallido e un po’ perso.
Proseguiamo in questa estenuante analisi. “L’inverno con la mia
generazione, le donne curve sui telai vicino alle finestre”. Al di là
dell’anacoluto, nasce prepotente a questo punto l'interesse per l'uso
della prima persona cialtronica plurale su cui si basa l'intera
canzone (aspettavamo, guardavamo, studiavamo, di nuovo aspettavamo). I
pronomi personali cialtronici identificano persone fittizie, in questo
caso una mia generazione non meglio precisata, una collettività
indefinita, forse un gruppo di artisti o magari solo una compagnia di
ex alpini, che comunque è necessaria a segnare i confini in cui
muoversi. Questa prima persona cialtronica plurale fa il paio con la
terza persona cialtronica plurale, anch'essa non delineata
apertamente, che tornava quotidianamente nei titoli di prima pagina de
“Il Giornale” ai tempi dell’indimenticata direzione di Vittorio
Feltri: “Vogliono portarci via la tredicesima”, “Non sanno fare
nemmeno le lotterie”, “Stanno per rubarci anche le mutande”. Nel caso
di Feltri la persona vaga era chiaramente un nemico, nel caso di
Battiato la persona vaga diventa uno scudo, un rifugio, uno stile di
vita.
Segue ora il verso clou di tutto il brano, quello per il quale non
vale nemmeno più la pena proseguire: “Un giorno sulla Prospettiva
Nevskij, per caso vi incontrai Igor Stravinskij”. Battiato non
incontra Sergheij Passievic o Svetlana Staronovna e nemmeno Vladimir
Nicolaievic, insomma una persona qualunque. No, incontra Igor
Stravinskij perché così si conclude la raccolta di figurine “Grandi
Personaggi della Russia di inizio Secolo”.
A questo punto tutto crolla miseramente; la Russia, i balletti e le
chiese cadono al suolo e quello che ci girava nelle orecchie fin
dall’inizio della canzone ora esplode in tutta la sua pienezza e al
centro delle rovine resta in piedi solo una tavolata di maggiaioli già
ubriachi. “Prospettiva Nevskij” non è un pezzo di musica colta con un
testo di ispirazione culturale. Questo è solo uno stornello
popolaresco nascosto sotto uno strato di guano culturale. L’assonanza
Nevskij/Stravinskij più che di vodka sa di chianti in quanto è
strettissima parente di altre assonanze tipo “Fior di verbena / il mal
dentro al core non si sana / più aspetto e più cresce la mia penaaa…”.
Ci si provi a cantare il testo di “Prospettiva Nevskij” su
accompagnamento delle stornellate e ci si accorgerà di come le parole
si incastrino perfettamente in quel ritmo.
(da “Chaltron Hescon. Fenomenologia del cialtronismo contemporaneo”,
Einaudi, 1998).
“Chaltron Hescon. Fenomenologia del cialtronismo contemporaneo”,
uscito nel 1998 presso Einaudi, al cui interno è contenuta la geniale
disamina di “Prospettiva Nevskij” che svela il carattere "cialtronico"
del brano di Battiato. Brano che, beninteso, rimane un capolavoro.
Giuseppe
“Prospettiva Nevskij” o del cialtronismo di Franco Battiato
di Tommaso Labranca
Muoversi per il mondo provoca il cialtronismo? Anche il non viaggiare
lo causa. Danni cialtroni possono essere compiuti anche stando a casa,
viaggiando con la mente lungo i percorsi obbligati costruiti su
iperconvinzioni culturali. Una volta lo ha fatto anche Franco
Battiato.
Franco Battiato non è un potente-calamita. Spesso, anzi quasi sempre,
e stato un anticialtrone che ha composto brani-collage lunghi e
affascinanti come “Goûtez et comparez”, costruiti accostando elementi
diversi. C'era la sigla della radio rumena e la lettura delle
quotazioni dei pomodori, c'erano le note dell’organo della cattedrale
di Monreale e i sussurri di imprecisati fornicatori. Nell’orecchio
destro di Battiato entravano le idee-cuneo di ascolti che, nuotando
nel liquor cerebralis secreto da una vite delle iperconvinzioni ben
temperata, uscivano dall’orecchio sinistro sotto forma di suoni-
concetto. Questi suoni-concetto erano presi e riportati così
com’erano, uno dopo l’altro, e il risultato, che puntava al richiamo
di atmosfere e di luoghi, era davvero favoloso, come sempre quando si
lavora sugli elementi senza spiegarne i meccanismi di acquisizione.
Come non lo è mai quando, per esubero d'intellettualismo, l’elemento
che crea l’atmosfera non è riportato direttamente ma viene smontato,
scardinato, addirittura commentato.
Allora l'atmosfera muore, il lavoro diventa inutile, il prodotto
diventa cialtronico.
Inoltre la situazione peggiora quando un ambiente viene descritto con
limitata cognizione di causa. La citazione di un elemento estraneo al
mondo di un autore, la sua non-specializzazione, fanno in modo che,
quando lo si vuole descrivere, si scelgano i concetti-base più
deleteri. Franco Battiato è al tempo stesso cialtrone e non-cialtrone
e forse è in questo la sua grandezza.
Battiato non-cialtrone:
- Quello che ci parla di deserto, di sufi e che si reca tra i beduini
“per fermare la latinizzazione della lingua araba”.
- Quello che ha scritto il più bel verso mai composto sul modo in cui
la cacofonia della guerra voluta da pochi irrompa indesiderata nella
pace quotidiana di tanti: “Strano come i rombo degli aerei da caccia
un tempo / stonasse con il ritmo delle piante al sole sui balconi”.
- Quello che si fa scrivere i testi da Manlio Sgalambro.
Battiato cialtrone:
- Quello che compone opere seguendo troppo da vicino il modello di
Philip Glass.
- Quello che ha scritto “Alexanderplatz” (auf Wiederseeeehn…) con il
suo carico di soffitte berlinesi, freddi berlinesi, teatri berlinesi,
prostitute berlinesi che si chiamano invariabilmente Marlene (ma sui
marciapiedi locali è garantita la presenza di molte Ulla) e che
costituisce una sorta di Salone Internazionale dell’Intellettuale
Malaticcio e Perseguitato a Berlino Est. (Quando C’Era Berlino Est).
- Quello che ha composto “Prospettiva Nevskij”. Ma qui è di rigore un
approfondimento.
Durante la stesura di questo pezzo, Franco Battiato si è lasciato
sottomettere al magnetismo di certe idee-forti che raccontano della
Russia favolosa d’inizio secolo. Allora, sotto l’effetto di una vite
delle iperconvinzioni starata per l’entusiasmo, Battiato è diventato
come quei registi americani che facevano vestire tutti i tassisti
parigini dei loro film con basco e maglietta a strisce orizzontali e
tutti i gondolieri veneziani con paglietta e maglietta a strisce
orizzontali.
Il titolo già dovrebbe metterci in allarme: “Prospettiva Nevskij”. La
prima parte del nome, “prospettiva”, è solo la traduzione facilona,
però diffusa, del vocabolo russo che significa “corso”. Quasi una
traslitterazione, ma che Battiato trova necessaria. Se avesse
intitolato “Corso Nevskij” un brano che vuole russeggiare, avrebbe
ottenuto un risultato un po' riduttivo, addomesticante,
provincializzante. Avrebbe riprodotto il gusto dello struscio
domenicale e non quello di un viaggio esotico tra storia e cultura.
Superato il titolo, tuffiamoci nel primo verso che recita “Un vento
30° sotto zero”. La Prospettiva Nevskij è a San Pietroburgo. Dicono
gli atlanti che questa nobile città, benché si trovi piu a nord di
Mosca, presenta un clima meno rigido di quello della capitale a anche
il freddo più canino di gennaio conosce medie di soli -7° C.
Naturalmente, la drammaticità della composizione non avrebbe permesso
una strofa così composta: “Un vento a sette gradi sotto zero…”.
Provate a cantarla. Sentirete che non c’è pathos e basta una
sciarpetta per distruggere sul nascere lo stereotipo del freddo
siberiano cui Battiato intende riferirsi, impegnandosi anch’egli a
tracciare, con la massima precisione e un pezzetto di lingua che
spunta dall’angolo della bocca, il disegno di un cosacco riportato sul
suo album “Roselline”. Un cosacco facilitato nei contorni, di quelli
da avanspettacolo che ballavano le danze tipiche non accovacciati ma
“seduti su uno sgabello” (citazione da “Paperino e la casacca
cosacca”). Lo stesso copiato dagli autori dei versi cantati da Adriano
Celentano parecchi lustri or sono: “Mi sembri la figlia / di un capo
cosacco / con quegli stivali / e quel nero colbacco”.
Definiamola una licenza poetica: poiché un vento a soli sette gradi
sotto zero non avrebbe reso possibile la scrittura di un verso
successivo, quello in cui il vento “a tratti, come raffiche di mitra,
disintegrava i cumuli di neve”. A trenta gradi sotto zero i cumuli di
neve sono ormai piccoli ghiacciai compatti che nessun vento può
disintegrare; ma non è solo questo che colpisce. È che il cosacco di
“Roselline” ha in testa un colbacco di pelo e allora in Russia deve
necessariamente fare freddo. Dicono ancora gli atlanti che d’estate
Mosca tocca medie di 17° C, San Pietroburgo di 16° C. Sul Mar Nero,
dove andavano in vacanza i membri dell’Apparat, a luglio si toccano
addirittura i 25° C. Nessun cialtrone riesce però a cantare la Russia
come fosse Portofino. Purtroppo il cialtrone non ama le contaminazioni
intelligenti fatte con spirito (torniamo a Elio e le Storie Tese),
così non comporrà mai un motivetto balneare d’ispirazione russa (I’ve
found my love in Sevastopol’) e pretende invece l’ordine e la
disciplina delle tabelle: trovate il motivo romantico nella casella
all’incrocio tra la colonna Estate e la riga località marina.
Ancora una volta l’ordine come risultato del teratomorfismo mentale.
Lo stesso procedimento tabellare è seguito da Franco Battiato, il
quale non vuole rinunciare a un po' di imprecisione geografica. Dove
siamo? Improvvisamente “le piazze vuote e i campanili” che credevamo
parti urbanistiche di San Pietroburgo diventano in una strofa
successiva scenari siberiani non meglio precisati e vediamo “intorno i
fuochi delle Guardie Rosse accesi per scacciare i lupi e vecchie coi
rosari”. Tipico della scrittura cialtronica è questo iperspaziare in
tutti i sacrari della banalità geofolcloristica. Le Guardie Rosse
dunque non possono mancare e nemmeno i lupi, che vivono un po'
dappertutto in Europa centrale, in America, in Asia, ma che diventano
quasi un'esclusiva di questo delizioso quadretto da Beriozka perché
così vuole la saggezza dei popoli: quando ci sono trenta gradi sotto
zero non si può certo dire che faccia bel tempo e quando il tempo è
brutto si dice che c’è fuori un tempo da lupi ed ecco che a trenta
gradi sotto zero appaiono i lupi. Su tutta questa meraviglia vegliano
le vecchie con i rosari. Sono sempre le solite vecchie, avranno almeno
235 anni. Sono sopravvissute alle temperature polari, al lupi, alla
Rivoluzione d’ottobre e sono ancora lì coi rosari in mano, gli sciali
sulla testa, i rubli in tasca, le icone alle pareti, i ritratti dello
zar, i samovar e tutta quell'altra paccottiglia eurorientale che
alcuni polacchi vendono un po' ovunque in provincia di Milano, in
mercatini improvvisati.
Intanto, cacciati i lupi e sistemate le vecchie, cosa resta da fare a
Battiato? Poco. Se ne sta con altri “seduti sui gradini di una chiesa”
ad aspettare che escano le donne. Tutto il mondo è paese: credevamo di
essere in Russia e invece siamo nella piazza principale di Ramacca
(CT, 9324 ab., 270 m slm). Evidentemente la canzone è stata scritta da
Franco Battiato in uno di quei pomeriggi di calura e mollezze sicule
che non sto a descrivere perché, non avendoli vissuti, rischierei di
fare le sue stesse figuracce, ma per i quali rimando ad alcune scene
di film-commedia ambientati nell’isola. Però una cosa è il clima
siculo, altra cosa la rigidità sovietica descritta dallo stesso
Battiato all’inizio della canzone. Sui gradini della chiesa, a trenta
gradi sotto zero, ci saranno dei ghiaccioli…
Questo è però solo un attimo di smarrimento geografico, subito ci si
riprende al verso successivo, quando “guardavamo con le facce assenti
la grazia innaturale di Nijinski”.
Riassumo la scena epocale: vento a trenta gradi sotto zero che
disintegra i cumuli di neve. Nonostante ciò, le Guardie Rosse cercano
di accendere i fuochi. Chi fuma sa quanto sia difficile tenere acceso
anche un Bic in una giornata di brezza ma le Guardie Rosse
accovacciate continuano a sfregare i legnetti e intanto tengono
lontani i lupi, scalciando, che a vederli pare stiano ballando proprio
come fanno i cosacchi. Intorno ci sono le vecchie con i rosari, mentre
un'orda di donne esce dalla chiesa spettegolando in russo medievale
stretto. In mezzo a questa situazione da incubo, sotto gli occhi di
alcuni impassibili picciotti della steppa ormai congelati, c’e
Nijinskij, naturalmente in calzamaglia, che non bada al gelo, ai lupi,
alle vecchie e balla con grazia innaturale.
“E poi di lui s’innamorò perdutamente il suo impresario e dei Balletti
russi”. Al di là dell’incomprensibilità sintattica di questa frase, è
scioccante il modo in cui, con una trasposizione spazio-temporale che
ha del miracoloso, Battiato interrompe la descrizione meteorologico-
religiosa per farci una lezioncina culturale che se da una parte
affonda che se da una parte affonda nel più becero nozionismo liceale,
dall’altra sprofonda nel pettegolezzo più indegno, poiché le donne
uscendo dalla chiesa stanno proprio servando sulla tresca tra il losco
Diaghilev e il povero Nijinskij, sottile, pallido e un po’ perso.
Proseguiamo in questa estenuante analisi. “L’inverno con la mia
generazione, le donne curve sui telai vicino alle finestre”. Al di là
dell’anacoluto, nasce prepotente a questo punto l'interesse per l'uso
della prima persona cialtronica plurale su cui si basa l'intera
canzone (aspettavamo, guardavamo, studiavamo, di nuovo aspettavamo). I
pronomi personali cialtronici identificano persone fittizie, in questo
caso una mia generazione non meglio precisata, una collettività
indefinita, forse un gruppo di artisti o magari solo una compagnia di
ex alpini, che comunque è necessaria a segnare i confini in cui
muoversi. Questa prima persona cialtronica plurale fa il paio con la
terza persona cialtronica plurale, anch'essa non delineata
apertamente, che tornava quotidianamente nei titoli di prima pagina de
“Il Giornale” ai tempi dell’indimenticata direzione di Vittorio
Feltri: “Vogliono portarci via la tredicesima”, “Non sanno fare
nemmeno le lotterie”, “Stanno per rubarci anche le mutande”. Nel caso
di Feltri la persona vaga era chiaramente un nemico, nel caso di
Battiato la persona vaga diventa uno scudo, un rifugio, uno stile di
vita.
Segue ora il verso clou di tutto il brano, quello per il quale non
vale nemmeno più la pena proseguire: “Un giorno sulla Prospettiva
Nevskij, per caso vi incontrai Igor Stravinskij”. Battiato non
incontra Sergheij Passievic o Svetlana Staronovna e nemmeno Vladimir
Nicolaievic, insomma una persona qualunque. No, incontra Igor
Stravinskij perché così si conclude la raccolta di figurine “Grandi
Personaggi della Russia di inizio Secolo”.
A questo punto tutto crolla miseramente; la Russia, i balletti e le
chiese cadono al suolo e quello che ci girava nelle orecchie fin
dall’inizio della canzone ora esplode in tutta la sua pienezza e al
centro delle rovine resta in piedi solo una tavolata di maggiaioli già
ubriachi. “Prospettiva Nevskij” non è un pezzo di musica colta con un
testo di ispirazione culturale. Questo è solo uno stornello
popolaresco nascosto sotto uno strato di guano culturale. L’assonanza
Nevskij/Stravinskij più che di vodka sa di chianti in quanto è
strettissima parente di altre assonanze tipo “Fior di verbena / il mal
dentro al core non si sana / più aspetto e più cresce la mia penaaa…”.
Ci si provi a cantare il testo di “Prospettiva Nevskij” su
accompagnamento delle stornellate e ci si accorgerà di come le parole
si incastrino perfettamente in quel ritmo.
(da “Chaltron Hescon. Fenomenologia del cialtronismo contemporaneo”,
Einaudi, 1998).